La Fede è il seme, e noi i contadini
Come il contadino, dobbiamo seminare e attendere: è Dio colui che salva, non noi
«Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa».
(Dalla liturgia)
La parabola del seme che cresce: c’è un periodo di silenzio nella crescita della pianta, che può essere più o meno lungo. In quel periodo l’uomo non può agire. Può solo aspettare. Così è anche nella vita di fede.
Molto spesso si sentono persone di una certa età che dicono: «io ai miei figli, ormai adulti, ho cercato di dare un insegnamento religioso, ma adesso si sono allontanati dalla pratica cristiana». La similitudine della parabola vale per quello che dice, non possiamo farle dire di più: un uomo non è una pianta, e l’uomo può decidere liberamente delle proprie azioni, la pianta invece no.
Ma come il contadino mette il seme nel terreno, così è necessario che anche noi mettiamo il seme della parola di Dio là dove la Provvidenza ci ha posti. Se abbiamo piantato il seme giusto, se il terreno, che è la persona, non rifiuta il seme, la pianta prima o poi cresce.
Non possiamo fare molto quando una persona, che ha ricevuto da noi un insegnamento cristiano, non lo mette in pratica. Però possiamo e dobbiamo seminare: quello è un compito che spetta a noi. E seminare un seme buono: se il contadino, invece di un seme, mette sotto terra un sasso, può aspettare anche cento anni, ma non vedrà nascere nessuna pianta. Se noi trasmettiamo la fede vera, quella che Gesù Cristo ci ha trasmesso attraverso il magistero autentico della Chiesa, stiamo seminando un seme.
Se parliamo di una fede diversa, una fede che dica: «la Chiesa dice così, ma io la penso cosà», oppure che insegni un Cristianesimo che non sia una cosa seria, che non incida nelle scelte concrete della vita, non stiamo seminando un seme, ma stiamo seminando un sasso, e non possiamo stupirci che la pianta non cresca.
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