Non basta conoscere Gesù, ma occorre accoglierlo
Fare esperienza di Gesù significa farlo partecipe della nostra vita
E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
(Dalla liturgia).
«Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti». E’ questa la frase conclusiva del brano. Dunque i discepoli avevano già incontrato due volte il Risorto.
Ci aspetteremmo di trovare persone entusiaste, cariche di energia. Invece il brano inizialmente sembra mostrarci un gruppo di persone deluse, che vanno ciascuna per conto proprio.
Non ci sono tutti, Pietro se ne va a pescare per conto proprio. La notte infruttuosa aumenta la loro delusione: non sono più neppure capaci di svolgere il loro antico lavoro!
Quello che cambia il loro atteggiamento è l’esclamazione di Giovanni: «E’ il Signore!». Non significa solo: «Guarda, c’è Gesù!», ma significa: «E’ il Signore della nostra vita!». Allora Pietro si butta in acqua, gli altri apostoli trascinano alla riva le barche, e tutta la realtà cambia aspetto.
Non basta sapere, avere conoscenza intellettuale che Gesù è risorto (i discepoli già ce l’avevano, avendolo già incontrato due volte), ma bisogna accoglierlo come il Signore della nostra vita. Affidarci a Lui, cercare di fare la sua volontà. Allora la nostra vita cambierà aspetto, e anche i momenti difficili e dolorosi saranno meno drammatici, perché sappiamo che anche noi, come il Signore, siamo destinati alla vita eterna.
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