La Resurrezione come fatto storico

Convinse anche discepoli e apostoli, i quali erano ancora increduli

«Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”». (Dalla liturgia).

Siamo nell’Ottava di Pasqua, quella settimana che va dalla domenica di Pasqua alla domenica successiva, settimana che la liturgia considera un unico giorno, il giorno della risurrezione del Signore.

E i vangeli di questa settimana insistono nel mostrarci le apparizioni del Risorto. E insistono su due aspetti: il primo è che Gesù è veramente risorto, è vivo, in anima e corpo, si fa vedere, ascoltare, toccare, mangia e beve con coloro che lo incontrano, il secondo è che i discepoli, anche dopo aver incontrato il Signore, non credono.

È questo un motivo che rende credibili questi racconti: i discepoli, e gli undici apostoli per primi, non erano predisposti a credere alla resurrezione. Fino alla Pentecoste, quando lo Spirito Santo è sceso dal cielo e li ha illuminati, non credevano neppure all’evidenza.

I brani di vangelo che leggiamo in questi giorni ci vogliono comunicare una realtà fondamentale: la resurrezione è un fatto storico realmente accaduto. Ne consegue che Gesù oggi è vivo, in anima e corpo.

Non riusciamo né a vederlo né ad ascoltarlo non perché sia meno vivo di noi, ma perché noi siamo creature, e come tali siamo limitati. E il Risorto comanda ai suoi apostoli di comunicare a tutti questa verità: che noi non siamo destinati a finire i nostri giorni nel buio di una tomba, ma che siamo chiamati – se lo vogliamo – a vivere per sempre nella gioia di Dio.

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