Il servizio a Dio e la mentalità del mondo

La sequela comporta un cambio di mentalità: il “cuore nuovo”

«Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Dalla liturgia).

La madre degli apostoli Giacomo e Giovanni si avvicina a Gesù per chiedergli qualcosa, ma lo fa usando la mentalità di questo mondo. Ella, come gli altri che seguivano Gesù, avevano capito che Egli era il Messia.

Lo aveva capito dai miracoli che compiva, dall’autorevolezza con cui parlava, dalle folle che lo seguivano. Ma pensava al Messia che attendevano gli Ebrei, cioè un capo militare e politico che avrebbe saputo cacciare l’occupante romano e ricostruire l’antico regno di Davide.

Così chiede per i figli due posti importanti nel futuro governo che nella sua fantasia avrebbe dovuto instaurarsi. Ma non si rende conto che con la sua richiesta per i figli ha chiesto il martirio: Gesù infatti si riferisce proprio al martirio quando parla ai due fratelli del calice a cui sta per bere. Ed essi non se ne rendono neanche conto.

Mettersi alla sequela di Gesù valutando le cose con un metro puramente umano, secondo la logica di questo mondo, è rischioso. Mettersi al servizio di Cristo e della Chiesa covando sogni di gloria mondana può portare ad amare sorprese.

«Il mio regno non è di questo mondo»: queste parole Cristo le dirà a Pilato, il venerdì santo, e ci fanno capire che se si vuole servire il Signore è necessario accettare il nuovo modo di pensare e di vivere che Egli ha inaugurato.

Un modo di pensare e di vivere che mira sì alla gloria del Paradiso, ma accetta, su questa terra, la logica della croce.

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